Il governo di Washington ha scatenato i suoi avvocati ed esperti. Obiettivo: trovare un’imputazione che permetta di estradare il ‘pirata’ negli Usa. Dimostrando che non è un giornalista, che ha svolto attività di spionaggio e forse anche di cospirazione
In fondo era tutto scritto da due anni. Nel marzo 2008 – molto prima dello scandalo sessuale che ha coinvolto Julian Assange in Svezia – il servizio di controspionaggio dell’esercito americano scriveva, in un rapporto privato, che occorreva “identificare, perseguire penalmente, far licenziare tutte le talpe e gli spifferatori che alimentano il centro di gravità di Wikileaks”. L’obiettivo? “Danneggiare o distruggere Wikileaks”. A pubblicare il rapporto segreto è stata proprio l’organizzazione guidata da Julian Assange.
Dopo aver incarcerato Bradley Manning, il militare accusato di aver passato a Wikileaks la testimonianza-choc in cui si vede un elicottero americano uccidere una dozzina di civili iracheni, il dipartimento di Giustizia Usa si prepara a stringere il cerchio intorno a Julian Assange. Molte le possibili accuse sul tavolo dei “prosecutors” americani, poche – anzi nessuna – è priva di rischi. Anche solo ottenere l’estradizione di Assange verso gli Stati Uniti – condizione necessaria perché un tribunale Usa possa processarlo – sarà un’impresa. Insomma, un processo contro Assange potrebbe trasformarsi in un Vietnam giudiziario.
L’estradizione. Contrariamente a quanto si possa pensare il paese di origine – in questo caso l’Australia – non è coinvolto nella procedura di estradizione di Julian Assange. Conta solo il paese dove si trova l’imputato al momento della richiesta, che ad oggi è la Gran Bretagna. In questi giorni il fondatore di Wikileaks e i suoi legali si stanno opponendo in tribunale a un’estradizione verso la Svezia. Secondo l’entourage di Assange sarebbe solo il primo passo verso la consegna agli Stati Uniti e la via più sicura sarebbe quella di restare nel Regno Unito. “La Svezia”, recita la memoria difensiva presentata lo scorso 11 gennaio “è ingenua nel fidarsi di assicurazioni diplomatiche che le persone espulse non saranno maltrattate”. Il riferimento è alla storia di Ahmed Giza e Mohammed Al Zery, che il paese scandinavo consegnò all’Egitto nel 2001 – su richiesta della Cia – e che sostengono di essere stati torturati, nonostante le rassicurazioni del governo di Mubarak. Paul D’Emilia, avvocato newyorchese esperto in diritto penale e internazionale, è di un’altra opinione: “Il governo britannico sarebbe più disposto a concedere l’estradizione rispetto alla Svezia, che ha una lunga tradizione di asilo politico alle spalle”.
Proprio questa sarebbe la chiave dell’eventuale difesa di Assange se gli Usa dovessero chiedere di processarlo sul suolo americano: addurre l’eccezione del reato politico. Molti trattati bilaterali prevedono la possibilità di opporsi all’estradizione argomentando che il reato per il quale si è perseguiti è di natura politica. “Se gli Stati Uniti acussassero Assange di spionaggio non credo ci siano le basi per sostenere che questa sia un’accusa per un reato politico”, spiega Douglas McNabb, avvocato di Washington esperto di estradizione. “Solo una pressione diplomatica estrema potrebbe convincere la Svezia a consegnarlo e, comunque, è possibile che Assange non venga mai processato negli Usa”.
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