La storia di Massimiliano, un insegnante messo alla gogna per aver molestato i suoi studenti attraverso il social network: un orco era entrato nel suo profilo e si fingeva lui. La vicenda è tra quelle raccontate nel libro “Io ti fotto”, di Morello e Tecce
“È stato un incubo, un terribile incubo“. Massimiliano, a un certo punto, smette di parlare. Tiene la cornetta lontana dalla bocca, non so se stia piangendo o semplicemente si sia perso inseguendo un pensiero. Me lo immagino con gli occhi fissi in un punto, quegli stessi occhi verdi, sereni e svegli, che ho visto sul suo profilo su Facebook. Non lo ha cancellato, il suo profilo. È ancora lì, nonostante la bacheca sia bloccata e l’ultimo post, “Fai schifo, vergognati”, risalga a un po’ di tempo fa. Nonostante abbia rischiato l’arresto per colpa di quelle pagine, abbia quasi perso il lavoro, gli amici e la compagna. “Il sollievo”, mi aveva scritto in una mail pochi giorni prima di fissare un appuntamento telefonico, “è tutto lì, in quel quasi. Se non fosse saltata fuori la verità, ora, probabilmente, sarei in carcere. O comunque sarei tacciato per sempre di pedofilia“.
Riavvolgiamo il nastro, dall’inizio: Massimiliano insegna in una scuola media nella provincia di una grande città del Nord. La sua storia non è uscita sui giornali, ci chiede tutti gli accorgimenti possibili per mantenere l’anonimato. Massimiliano ha un ottimo rapporto con i suoi studenti, che spesso lo porta ad annullare lo spazio tra la cattedra e i banchi. Si vedono fuori dall’orario scolastico per organizzare seminari, gite o assemblee, fare volontariato, semplicemente “scambiare quattro chiacchiere all’ombra di un albero”. “Amo il mio lavoro”, dice, “proprio perché ti permette di trasmettere qualcosa, di guidare qualcuno. Ti arricchisce enormemente, almeno l’ho sempre pensata così”.
Su Facebook Massimiliano ha tanti amici: colleghi, conoscenti, ex compagni di scuola, come tutti. Ha anche i suoi studenti, una ventina, e una sessantina di loro amici, conosciuti in feste e seminari. “Sai com’è”, racconta, “non è che conosci per davvero tutti quelli che ti chiedono l’amicizia. Se un ragazzo o una ragazza di tredici, quattordici anni mi domandava di aggiungerlo potevo presumere che ci fossimo visti da qualche parte. Non è che passassi il mio tempo su Facebook, ci entravo al massimo due o tre volte a settimana, giusto per rispondere alle richieste o alle notifiche. Chi doveva dirmi qualcosa di certo non utilizzava la chat o la messaggistica interna, mi chiamava o mi scriveva. Pensi che trovavo così molesti gli avvisi di aggiornamento del social network che li avevo disattivati”. In pratica se qualcuno gli mandava un messaggio privato, commentava una sua foto o scriveva sulla sua bacheca, Massimiliano non ne era informato.
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