I droni e i missili aria-terra nel futuro di Pechino
Tecnicamente sono gli UAV (Unmanned aerial vehicle). In soldoni droni o aerei spia altamente tecnologici in grado di catturare immagini di precisione da oltre 3 mila metri di altezza e di colpire con missili teleguidati – via Gps generalmente – obiettivi a terra da alta quota. Questa la spiegazione in breve di cosa sono gli UAV. Da un punto di vista strategico ricoprono sempre più ruoli vitali e fondamentali nelle operazioni di spionaggio elettronico e sui campi di battaglia. Ne è la riprova l’aumento del loro utilizzo in Afghanistan durante i primi 22 mesi dell’Amministrazione Obama. Colpiscono dall’alto i bersagli e così di evita di dover impiegare truppe di terra, o almeno di limitarne l’uso in alcuni scenari.
Se gli UAV armati con missili fossero stati disponibili nel 1999 in Kosovo, gli americani ne avrebbero fatto ricorso a man bassa visto che quella fu una guerra combattuta dal cielo per questioni strategiche, logistiche, tattiche ma anche politiche. Non è quindi una casualità che molti investimenti in campo militare siano oggi orientati nel migliorare l’efficacia non solo come aerei spia ma anche come “caccia da combattimento” senza pilota dei droni. In agosto gli iraniani hanno presentato il loro drone da battaglia, si chiama Karrar. Ne hanno diffuso una foto in una cerimonia con tanto di presenza di Mahmoud Ahmadinejad. Quanto sia credibile il Karrar – dubbi sulla capacità iraniane di produrne in serie – è un’incognita. E’ invece una certezza l’interesse di Pechino per gli UAV. La scorsa settimana nel corso dell’ottava China International Aviation and Aerospace Exhibition (la fiera dell’aviazione in pratica), le industrie statali e parastali del comparto hanno presentato progetti e modelli. Un segnale di come la Cina stia orientando la sua industria militare verso obiettivi strategici complessi. Prima di tutto gli UAV cinesi serviranno a rafforzare il controllo sul Mare Meridionale cinese. Il Pterodactyl I UAV ad esempio è simile nella configurazione al Raptor americano, è equipaggiato di missili, può volare fino a 20 ore, ha un range di 4mila chilometri e può volare sino a un’altezza di 5mila metri. Armato è pure il CH-3 UAV, studiato appositamente per la ricognizione in zone di guerra e per la guerra elettronica (campo in cui la Cina eccelle e più di una volta ha già fatto tremare il Pentagono). Ha un range più limitato ma compiti tattici precisi.
Un modello di CH-3 UAVIl TH Mini invece è un UAV d’attacco, ha un range appena di 3,2 km ma monta bombe da cinque chili con testate a frammentazione. E poi altre industie stanno sviluppando altri veicoli con caratteristiche diverse: dalla capacità di condurre la guerra elettronica, all’intelligence, sino alla precisione d’attacco dell’ASN-229A.
Le informazioni uscite dalla fiera dell’industria aerospaziale sono uscite proprio nei giorni in cui Washington discuteva l’ultimo rapporto sullo stato delle forze armate di Pechino. Un rapporto che ha allarmato non poco gli esperti. Lo sviluppo degli UAV segna un’ulteriore scatto della Cina verso quella parità strategica con gli Usa che il Pentagono in una relazione del 2005 indicò sarebbe stata raggiunta nel 2025. Comunque presto per gli standard Usa.
Fonte: La Stampa