“Error 404: page not found” Il web e le rivolte africane

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La rete come moltiplicatore di idee e di rivendicazioni. E i regimi dittatoriali la spengono per zittire la voce delle proteste. Che strumenti hanno per farlo e come ci riescono. Ma gli oppositori sanno come aggirare i divieti

NESSUNO può negare che Internet abbia svolto un ruolo importante nelle insurrezioni che hanno portato alla fuga di Ben Alì prima e di Mubarak e (forse) Gheddafi dopo. La rete si è infatti offerta prima come piattaforma di denuncia della corruzione e della rabbia popolare e poi come strumento di organizzazione e coordinamento delle azioni di protesta, moltiplicandone la forza. Ma non è cominciato tutto da lì. Anche se le proteste erano state preparate dal sotterraneo lavorio di blogger e attivisti che hanno spesso pagato col carcere e la tortura la loro denuncia del regime, bisognava aspettare la rivolta del pane per capire fino a che punto aveva scavato il malcontento.

Le proteste in Tunisia sono scoppiate dopo che un venditore ambulante si è dato fuoco per protestare contro le continue angherie della polizia. Solo dopo è partita una mobilitazione generale in cui quello che accadeva nelle strade veniva comunicato al mondo via Internet e poi rimbalzato da radio e tv indipendenti per essere ripreso e sparato su Twitter, Facebook, Youtube ed altri social media producendo un effetto di emulazione nei paesi vicini. Quando i regimi si sono accorti della potenza moltiplicatrice della rete, hanno provato a bloccarla, riuscendovi, anche se solo per poco.

La rete si ferma solo se si spegne.
Ma come è possibile fermare la rete delle reti se il mito delle sue origini parla di un dispositivo di comunicazione capace di resistere a una guerra nucleare? “La rete interpreta la censura come un malfunzionamento, e la aggira”. C’è del vero nelle parole di John Gilmore, esperto crittografo e fondatore della Electronic Frontier Foundation, e sta nella logica di funzionamento della rete che usa una tecnologia, il packet switching, la commutazione di pacchetto, che tratta i dati come i vagoni di un trenino che arrivati al nodo di scambio interrotto si dividono, prendono strade diverse e poi si ricongiungono a destinazione. Ma se la rete non funziona non c’è niente da aggirare. Quello che è successo il 28 gennaio in Egitto e poi il 19 febbraio in Libia è stato proprio questo: la disconnessione della rete dai circuiti nazionali e internazionali.

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