Un altro ex agente e sua moglie intossicati con il mercurio a Londra
Marina Kalashnikova, moglie di Victor, ex agente del Kgb, mostra le mani al fotografo del Sunday Times. Sono gonfie, irritate, con una macchia blu che parte dalla base del pollice e arriva fino al polso. Suo marito, che oggi fa il giornalista ed è un uomo che forse sa troppo, è di fianco a lei, immobile. E’ un uomo alto, con i capelli castani, corti, che un tempo è stato un atleta. Adesso è come se il suo corpo si stesse ritirando piano. Balla nei vestiti, è scavato in volto e non può fare a meno di grattarsi la pelle pallida. La notte fatica a dormire, non riesce più a parlare fluidamente, ha perdite di memoria e spesso è vittima di attacchi epilettici. «La polizia segreta russa ci ha avvelenato».
Lo pensano dalla primavera scorsa quando i primi sintomi hanno cominciato ad attaccarli mentre viaggiavano per conferenze tra l’Estonia, la Polonia, la Russia e il Belgio, poi le analisi tossicologiche in un ospedale tedesco hanno dato corpo ai sospetti. E’ come se qualcuno li avesse seguiti nell’ombra per aggredire il loro fisico, smontarlo pezzo a pezzo e obbligarlo alla sofferenza con la gelida ferocia di chi è convinto di presentare il conto di un tradimento. «Il Kgb era una sorta di fratellanza. E chi ne ha fatto parte non può uscirne mai più. Tanto meno può sollevare dubbi sull’operato di chi comanda. Un mio contatto governativo mi aveva avvisato: o scrivi di noi con maggiore simpatia o saranno guai». Nelle loro vene, Frank Martin, medico dell’ospedale della Carità di Berlino, ha trovato 53 microgrammi di mercurio per ogni litro di sangue. La media di un essere umano sano è di due. Nel miscuglio chimico che li sta fiaccando, Anthony Dayan, professore di tossicologia al St Bart’s Hospital Medical College, ha trovato anche tracce di tallio, di cadmio e di polonio, la sostanza radioattiva che mischiata al tè portò alla morte della spia Alexander Litvinenko nel 2006 a Londra. Per questo che gli inglesi si sono presi a cuore il caso.
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