L’ex presidente della Sicilia è stato condannato in via definitiva per favoreggiamento aggravato alla mafia e violazione del segreto istruttorio. La Cassazione ha chiesto sette anni di reclusione e l’aggravante mafiosa impedisce l’applicazione delle misure alternative alla detenzione: per questo Cuffarò, oltre a decadere dal seggio di senatore, dovrà andare in carcere.
Di cosa parliamo
Salvatore Cuffaro è stato eletto per la prima volta presidente della Sicilia nel 2001. A giugno del 2003 Cuffaro viene indagato per concorso esterno in associazione mafiosa dalla procura di Palermo nell’ambito di un’indagine sulle continue fughe di notizie dalla Direzione distrettuale antimafia e sui rapporti della mafia con la classe politica locale. L’indagine su Cuffaro scatta quando il boss mafioso Giuseppe Guttadauro trova a colpo sicuro e distrugge le microspie che le forze dell’ordine avevano piazzato nella sua abitazione, mentre gli inquirenti stavano ascoltando. Gli inquirenti ritengono che sia stato lo stesso Cuffaro a far sapere a Guttadauro della presenza delle microspie, tramite la mediazione dell’allora deputato regionale Antonio Borzacchelli e da Domenico Miceli, medico, amico di Cuffaro ed ex assessore a Palermo. Inoltre, Cuffaro è accusato anche di avere dato informazioni riservate legate al suo processo a Michele Aiello, imprenditore nel settore della sanità indagato per associazione mafiosa. Salvatore Cuffaro si dice innocente e rinuncia all’immunità che gli spetterebbe in quanto parlamentare europeo.
Il rinvio a giudizio
A settembre del 2005 Salvatore Cuffaro viene rinviato a giudizio. L’accusa cambia: non più concorso esterno in associazione mafiosa bensì favoreggiamento aggravato alla mafia e rivelazione di notizie coperte da segreto istruttorio. A Cuffaro vengono contestati i rapporti con quattro persone. Il primo è Giuseppe Guttadauro, il boss mafioso al quale Cuffaro avrebbe fatto giungere la notizia dell’esistenza di microspie nel suo appartamento, un appartamento in cui gli inquirenti avevano registrato molte preziose conversazioni, in alcune delle quali si faceva il nome dello stesso Cuffaro. Il secondo è Michele Aiello, imprenditore nel settore della sanità a cui Cuffaro avrebbe rivelato l’esistenza di un’indagine riservata in corso sul suo conto: i due si sarebbero incontrati in un negozio di abbigliamento a Bagheria, al quale Cuffaro era arrivato senza la scorta. Lo stesso Aiello ha ammesso la circostanza, negata invece da Cuffaro. La terza persona è Giorgio Riolo, il maresciallo che aveva piazzato la microspia a casa di Guttadauro e che ha detto di avere un rapporto di grande confidenza col Cuffaro, al punto da raccontargli delle iniziative dei carabinieri. La quarta persona è Francesco Campanella, amico poi diventato collaboratore di giustizia, informato dell’esistenza di un’indagine sui rapporti di un politico locale e la mafia.
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