Semplicemente incredibile. Potevo prendere l’auto del comando e andare a tutta velocità, non si sarebbe fatta nemmeno un graffio»: questa la descrizione del Groom Lake, una pista di atterraggio naturale in Nevada, negli Stati Uniti.
A parlare un uomo anziano dallo sguardo incredibilmente freddo: è il colonnello dell’Aeronautica Militare statunitense Hugh Slater, che ammette senza difficoltà: io sono stato il comandante dell’Area 51. Un libro negli Stati Uniti ha sconvolto il mondo degli ufologi: «Area 51: una storia senza censura della base militare segreta americana». Gli appassionati delle «teorie del complotto» fanno gli scettici, ma l’autrice è una giornalista di fama: Annie Jacobsen, del Los Angeles Times. Al libro è seguito un documentario: «Inside Area 51» che è stato trasmesso in esclusiva alle 21,10 su National Geographic Channel, canale 403 di Sky. Il libro e il documentario svelano i segreti dell’Area 51, dagli anni ’50 uno dei luoghi più protetti e misteriosi della della Terra.
Per moltissimi ufologi si tratta di una base enorme, tutta sotterranea, dove un’organizzazione segreta americana avrebbe nascosto dei dischi volanti (primo fra tutti quello di Roswell) e i loro occupanti alieni precipitati sul suolo degli Stati Uniti per carpirne i segreti. Sull’Area 51 sono stati scritti decine di libri, girati moltissimi documentari. Ma mai nessuno è riuscito a penetrare il velo di mistero. Fino ad ora.
Nel film, per la prima volta, parla chi in questa base segretissima ha lavorato per anni. E innanzitutto ne viene svelato il vero nome: «Paradise Ranch», forse per smorzarne un po’ l’aspetto militare e austero. I visi di ingegneri ed ex piloti intervistati sono sorridenti e un po’ incerti: in fondo sono passati tanti anni, non si sentono più vincolati dal segreto, ma parlano con cautela.
Dalle loro parole appare chiaro che l’Area era una fabbrica di aerei-spia, velivoli che non potevano essere rilevati dai radar e che servivano per andare a «rubare» immagini in territorio russo dove microspie e strumenti per lo spionaggio non potevano arrivare. Anche se non potevano essere colti da strumenti elettronici gli aerei però potevano essere visti da terra e da altri aerei. Fu la Cia ad inventare la storiella dei dischi volanti, molto più comoda della realtà. E uno specialista in velivoli supersonici chiarisce subito: «La Cia non ha ammesso e non ammetterà mai che c’è un’Area 51. Fine della storia». Ma questa base esiste e fu voluta proprio dalla Cia per sviluppare e testare i progetti militari americani più segreti. L’Area 51 fu costruita nel 1955 attorno al letto di un lago prosciugato noto come Groom Lake, un luogo isolato, privo di vegetazione e protetto dalle montagne vicino a Las Vegas.
Qui è stato sperimentato l’aereo spia U2, fornito di telecamere senza fili ad alta risoluzione, progettate per scattare fotografie dai limiti della stratosfera e anche il velivolo Oxcart, non rilevabile dai radar e capace di fotografare oggetti da 27mila metri di altezza, viaggiando a 3.500 chilometri orari. Il documentario mostra per la prima volta immagini riprese in volo sulla Corea del Nord, filmate dalla Cia e mai rese pubbliche. E foto dell’interno della base, con i suoi hangar pieni di ingegneri e tecnici al lavoro.
Niente ufo, niente alieni, niente complotti. Ma alla fine del documentario l’ex amministratore dell’Area 51 ammette: «Devo essere onesto. Vi ho raccontato solo una parte della storia».
Fonte: Il Tempo