ROMA – Silvio Berlusconi non abbassa i toni contro i magistrati, anzi. Ma rinuncia (per ora) a un pericoloso braccio di ferro con il Quirinale, riponendo nel cassetto l’idea di un decreto sulle intercettazioni. Nel frattempo rompe definitivamente con l’Udc ordinando la ‘cacciata’ dei centristi dalle giunte locali. Il premier sulle inchieste è un fiume in piena: denuncia la «lobby antiberlusconiana» (composta da procure, giornali e alcuni talk show) che si muove «di concerto» per eliminarlo. Lo fa, sostiene, con inchieste «farsesche, inaccettabili e degne della Germania Comunista».
Parla di «golpe morale», di «toni puritani» contro un «presidente galantuomo» e sottolinea come l’espressione «eversione politica» sia un «giudizio tecnico», non certo uno «sfogo irresponsabile». Il tentativo di liberarsi di lui, assicura, non funzionerà non solo perchè alla fine troverà un «giudice a Berlino», ma anche perchè «in una democrazia il giudice di ultima istanza è il popolo elettore». Berlusconi rilancia poi sull’immunità parlamentare. Consapevole che l’argomento piace poco agli italiani, si limita a lodare i padri costituenti che «saggiamente» avevano stabilito un «filtro» tra i poteri. Ma fa depositare a Peppino Calderisi un ddl costituzionale per tornare al vecchio articolo 68 della Carta. Infine, pur riconoscendo di essere anche lui un «peccatore» (ammissione ridimensionata dalla premessa «qualche volta»), attacca la «giustizia moraleggiante» di quanti vogliono solo farlo fuori per ottenere una «democrazia autoritaria» e mandare al potere una «elite». Parole durissime, che il premier non affida al solito messaggio ai Promotori della Libertà, ma alla penna di Giuliano Ferrara. Proprio il direttore de ‘Il Fogliò lo va a trovare a palazzo Grazioli, dove alla spicciolata arrivano anche Alessandro Sallusti (Il Giornale), Giovanni Toti (Studio Aperto) e, forse, Alfonso Signorini. Presenze che fanno pensare ad un Cavaliere intento a meditare una controffensiva mediatica.
Sia come sia, della linea promossa dallo stesso Ferrara (abbassare i toni e tentare di offuscare il ‘Rubygate‘ con l’azione di governo) nell’intervista non c’è traccia. Berlusconi attacca a muso duro anche l’Udc. «Ho tollerato ogni tipo di attacco politico, ma quelli personali e sul privato non posso davvero sopportarli più», confida il Cavaliere a presidenti regionali e provinciali. Segue l’ordine: gli esponenti dell’Udc escano da tutte le giunte. Uno ‘strappò che potrebbe avere serie conseguenze in molte realtà locali, dicono preoccupati a Via dell’Umiltà. Nonostante ciò, nessuno (Renata Polverini a parte) si azzarda a smentire l’indiscrezione. Ma gli affondi del premier non lo mettono al riparo dai tanti guai che ancora lo assillano. A cominciare dai processi. La strada per bloccare i pm milanesi, al momento, sarebbe quella seguita per Altero Matteoli: ovvero sollevare il conflitto di attribuzione tramite il governo. Ogni decisione, però, è rimandata in attesa del Gip, che dovrà decidere sul giudizio immediato. Anche l’ipotesi di un decreto sulle intercettazioni, da lui stesso fatta trapelare (pur sapendo che aveva poche o nulle possibilità di riuscita) viene ritirata. Prima Fabrizio Cicchitto, poi Angelino Alfano negano addirittura sia mai stata sul tavolo. Il nodo più grosso per il premier, oltre ai processi ovviamente (e non solo quello legato a Ruby), è infatti il rapporto con il Quirinale. Berlusconi ha rinunciato a salire al Colle.
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