Vox populi, vox dei: «Quello è finito sul giornale», dove il verbo finire è quanto mai appropriato. «Sputtanati di tutta Italia, unitevi»: potrebbe essere lo striscione in qualche teatro dove la platea è ricca di gente semplice e famosa, di belle ragazze e uomini con pancetta, di persone di destra, di sinistra e di centro, di operai, imprenditori, studentesse. Sono le vittime delle intercettazioni.
Persone estranee a qualsiasi indagine, ma a volte soltanto nominate in una delle 100 mila conversazioni registrate da una procura. «E dalle carte spunta il nome di…». È così che inizia il calvario. Tizio o Tizia vengono coinvolti loro malgrado, devono giustificarsi, magari smentire rafforzando il detto che ogni smentita è una notizia data due volte; devono sopportare gli sguardi di chi comunque pensa che «se uno finisce sul giornale, qualcosa di vero (e di male) ci sarà».
Il cortocircuito mediatico-giudiziario è davvero violento. E chi non ha la forza di ribellarsi subisce in silenzio, in un isolamento crescente, che spesso comporta perdita di affetti, difficoltà sul lavoro. Ma il pasto è ghiotto. Come mostra la vicenda del Rubygate, che il 15 febbraio è diventato processo immediato contro Silvio Berlusconi: nelle 1.000 pagine messe agli atti dall’accusa nessun garantismo per le ragazze che abitavano nel quartiere milanese dell’Olgettina, peraltro mai indagate. Quale reato viene contestato a Barbara Guerra o a Barbara Faggioli? Nessuno. Però i giornali hanno pubblicato nomi e cognomi insinuando inevitabilmente un marchio dell’infamia. Internet ha fatto il resto, divulgando perfino i numeri di telefono. Solo in rari casi l’identità della persona ascoltata è stata coperta dagli inquirenti: è stato così per M. T., che, fra le tante invitate ad Arcore, è forse non casualmente tra le poche interrogate come teste dell’accusa.
Ma con le intercettazioni funziona sempre così. Insinuano il sospetto, e poi è tutto un darsi di gomito: «Hai visto? C’è pure Gianni Letta» (l’inchiesta del 2009 sulla cricca degli appalti della Protezione civile). «Incredibile, si parla di Ilaria D’Amico» (lo scandalo di Calciopoli). «C’è Cecilia Rodriguez, la sorella di Belen, te l’avevo detto» (l’inchiesta napoletana su prostituzione e spaccio di banconote false). «Ma la moglie di Flavio Briatore, Elisabetta Gregoraci, non era stata coinvolta in una storiaccia di sesso?» (Vallettopoli, Potenza). Vallo a spiegare, poi, che l’esercito degli sputtanati non ha niente da temere dalle indagini, non è coinvolto, è estraneo all’inchiesta. Intanto il nome finisce sulle pagine di giornale in grande evidenza, poi si vedrà.
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