Dal quadro accusatorio che ha portato agli arresti domiciliari don Giovanni Usai, fondatore della comunità “Il Samaritano” emergono nuovi sconcertanti particolari. La comunità di Arborea, per come viene descritta dall’accusa, sembra una casa di tolleranza. Accusa che il sacerdote ha respinto nell’interrogatorio di garanzia.
Stando agli elementi raccolti dagli inquirenti, attraverso dichiarazioni e intercettazioni, la comunità “Il Samaritano” viveva al suo interno secondo uno stile ben diverso da quello che proiettava all’esterno. Porte aperte giorno e notte e tanta attività sessuale, a pagamento o in cambio di favori. Spetterà naturalmente ai giudici stabilire la veridicità dell’impianto accusatorio. Ma intanto ci sono queste accuse, che pesano come macigni sulla testa di don Giovanni Usai, principale protagonista di questa storia. Accusa che parla di favoreggiamento della prostituzione e di violenza sessuale.
L’ACCUSA – Alla base della richiesta della misura cautelare “c’è la grave e principale tesi” secondo la quale don Usai avrebbe consapevolmente consentito all’interno della comunità “l’esercizio della prostituzione”. Non solo, ma una delle donne nigeriane arrivate nella comunità ha dichiarato agli inquirenti “che da subito il sacerdote ebbe a pretenderle relazioni sessuali”. Dopo qualche rifiuto iniziale – prosegue la donna nelle sue dichiarazioni agli inquirenti – “capì che l’unico modo per ottenere un contratto a tempo indeterminato era quello di soggiacere alle pretese sessuali” di don Usai.
LA DIFESA – A tutte queste accuse ha ribattuto don Usai nel corso dell’interrogatorio di garanzia che si è svolto il 31 dicembre. Il sacerdote ha definito falsi tutti gli episodi che gli sono stati contestati. Uno dei suoi legali, l’avvocato Francesco Pilloni, ha puntualizzato che “c’è una malcelata voglia di provocare danno a quest’uomo da parte di soggetti che non hanno certo l’aureola. Le intercettazioni possono avere tante interpretazioni, non c’è niente di eclatante”.
Fonte: Unione Sarda