Saltano le intercettazioni, rischia processo di mafia

Saltano le intercettazioni, rischia processo di mafia

Errore o distrazione, di certo quelle intercettazioni ambientali ritenute fondamentali per sostenere un’accusa di omicidio sono carta straccia. Il provvedimento con il quale il giudice dell’udienza preliminare, Antonio Lovecchio, ha dichiarato inutilizzabili le conversazioni captate in carcere e in questura rischiano di far franare o indebolire pesantemente le imputazioni nei confronti dei presunti autori del delitto di Giovanni Peschetola, 31 anni, avvenuto a Bari vecchia il 21 luglio del 2008. Il motivo? Tecnicamente si chiama «remotizzazione» delle intercettazioni presso il server della procura.

In che cosa consiste? Il collegamento informatico tra la microspia utilizzata per ascoltare le conversazioni e il «registratore» che deve trasmettere le «informazioni» raccolte, deve passare esclusivamente dalla «centrale» istituita presso la procura. Diversamente, non è corretto. Nel caso di Peschetola, le intercettazioni (eseguite in Questura e in carcere dopo la «confessione» di uno dei presunti assassini) non sono passate dal server della procura. Quindi, non sarebbe stato salvaguardato il diritto di difesa, stabilito da una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione nel settembre del 2008, in coincidenza con l’indagine del caso Peschetola. Per gli ermellini, affinché le prove raccolte facciano pieno ingresso nel processo, è necessario che le operazioni di registrazione siano state effettuate negli uffici della Procura presso il cui server rimane comunque impressa la versione originale della conversazione captata.

Cosa accadrà adesso? Il pm Elisabetta Pugliese, che aveva chiesto il rinvio a giudizio di sei persone, accusate a vario titolo di concorso in omicidio e detenzione di armi, ora si ritroverà di fronte a un difficile processo in «abbreviato» al quale i legali della difesa si sono subito appellati dopo aver incassato un (inevitabile) provvedimento di inutilizzabilità di due intercettazioni ambientali. Giovanni Peschetola, legato agli Strisciuglio, fu vittima di un vero proprio agguato maturato nell’ambito di un regolamento di conti.

Nessuna lite, insomma, come qualcuno volle far pensare per depistare le indagini. Due giorni dopo il delitto, si costituì infatti il 69enne Giuseppe Cassano, detto «Severino», ex contrabbandiere, ritenuto vicino ai Capriati: si assunse ogni responsabilità del fatto di sangue, scagionando i propri congiunti e giustificando di aver agito per legittima difesa. Disse, tra l’altro, di aver sparato con tre pistole. Ipotesi ritenuta poco credibile, visto che le perizie accertarono diverse posizioni di fuoco coincidenti con la versione di Cassano solo nel caso avesse disposto di «braccia allungabili».

Le indagini proseguirono fino a quando, nel luglio dello scorso anno, il gip, Giulia Romanzzi, su richiesta del pm antimafia Elisabetta Pugliese, dispose la cattura di Saverio e Onofrio Cassano, di 45 e 39 anni, figli di Giuseppe. Il primo è accusato di omicidio e violazioni della legge sulle armi ed è in cella. Il secondo (ai domiciliari) è indagato solo per quest’ultimo reato. A sparare, in realtà, sarebbero stati almeno in tre. Giuseppe, Saverio e un altro Giuseppe Cassano, nipote del «patriarca» e figlio di Saverio: il 20enne è morto in un incidente stradale il 19 dicembre del 2009, travolto con la moto da un tir davanti al porto di Bari. Nel processo sono imputate anche Porzia Cassano (imputata di detenzione di arma), Lucia Cassano e Donato Querini (ora pentito), accusati di false dichiarazioni per favorire un clan mafioso.
L’omicidio Peschetola maturò a seguito di uno «sgarro» subito da Giuseppe Cassano (padre), picchiato per aver: schiaffeggiato le donne, nel caso di specie mogli di altri appartenenti agli Strisciuglio. Secondo la Squadra mobile, Cassano, preoccupato per nuove e più feroci vendette, avrebbe tentato di riparare chiedendo aiuto a Marino Catacchio (ucciso il 18 settembre 2008) e al vecchio boss del San Paolo, Giuseppe Mercante, detto «Pinucc u’ drogat», affinché mettessero pace. Così si riuscì a organizzare un incontro che, in teoria, avrebbe dovuto risolvere tutte le questioni. Ma i Cassano si sarebbero fatti trovare armati di pistole, pronti a mettere in atto l’omicidio già pianificato.

Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno

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