Cuffaro prosciolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa

Cuffaro prosciolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa

Il Gup: “Già giudicato per gli stessi fatti”

Il toto sentenza, tra giornalisti e addetti ai lavori, si è concluso poco dopo le 17, quando il gup Vittorio Anania, dopo una camera di consiglio di quattro ore, ha scritto la parola fine al secondo capitolo della storia giudiziaria di un ex potente siciliano, Totò Cuffaro, l’uomo da oltre un milione di preferenze, per due volte presidente della Regione. La chiave del verdetto, che arriva a un mese di distanza dalla condanna definitiva dell’ex governatore a sette anni per favoreggiamento a Cosa nostra, è tutta in un articolo del codice di procedura penale, il 649, che vieta che un cittadino sia processato due volte per lo stesso fatto, quale che sia la qualificazione giuridica del reato scelta dall’accusa. All’avvocato dell’ex governatore basta sentire la citazione della norma, che stabilisce il principio del ‘ne bis in idem’, per comprendere che la tesi difensiva è stata accolta: Cuffaro non andava sottoposto a processo.

I fatti che la Procura gli contesta e per i quali è finito per la seconda volta davanti al giudice, stavolta con l’accusa più grave di concorso in associazione mafiosa, per il gup, sono gli stessi che gli sono costati una condanna, passata ormai in giudicato, per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. Una decisione, quella di Anania, che non entra nel merito delle accuse e si ferma prima: alla opportunità di dare vita al giudizio. “Il verdetto – spiega il procuratore di Palermo Francesco Messineo – si limita a stabilire una preclusione processuale e non afferma che la condotta dell’imputato sia stata lecita”. Anzi, precisa il capo dei pm, “il provvedimento fa riferimento alla sentenza definitiva di gennaio, che quei fatti li ha certamente bollati come illeciti”. Ma Messineo, riunito dopo la lettura del dispositivo con l’aggiunto Antonio Ingroia e con i pm titolari dell’accusa Nino Di Matteo e Francesco Del Bene, non riesce a non fare cenno a quello che per mesi è stato il nodo del problema: quale reato contestare a Cuffaro. Concorso o favoreggiamento? Un dubbio su cui la Procura si è spaccata e che ha portato ai due processi. “Non potremo mai dire come sarebbe finita se gli avessimo attribuito da subito il reato più grave – dice non senza polemica – Ma certo non ci sarebbero stati due giudizi”. E nonostante i toni sereni certa è pure la delusione della procura di Messineo, che nella necessità di addossare all’ex presidente un’accusa pesante come quella del concorso ha creduto, tanto da scommettere in un nuovo processo. Perché per il pm Di Matteo, entrato in polemica coi colleghi che scelsero la strada del favoreggiamento, l’ex governatore non si sarebbe limitato a singoli episodi delittuosi come la fuga di notizie che portò alla scoperta delle microspie piazzate dal Ros a casa del boss Giuseppe Guttadauro, oggetto del primo dibattimento, ma avrebbe contribuito, durante tutta la sua carriera politica, al “sostegno ed al rafforzamento dell’associazione mafiosa”.

Un apporto, quello assicurato alle cosche, che avrebbe fruttato all’ex governatore i voti della mafia, in particolare quelli dell’ala “provenzaniana”. Cuffaro avrebbe messo a disposizione di Cosa nostra, dunque, il proprio ruolo, consentendole di influenzare l’andamento della vita politica siciliana e di assicurare l’impunità ai propri esponenti. “Tutto vecchio e già visto”, secondo i legali dell’ex presidente. Una tesi, quella del processo ‘fotocopia’, che il giudice sembra aver condiviso. Di fatti nuovi, dunque, i pm non ne avrebbero portati.

Fonte: Sicilia Informazioni

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