Controspionaggio dei clan: “Anticipano le nostre mosse”

Controspionaggio dei clan: “Anticipano le nostre mosse”

Doppio colpo ai Casalesi. Dopo i grandi boss si fa pulizia di eredi e luogotenenti. Ma esiste un altro lato, oscuro, che trapela tristemente dalle indagini dell’Antimafia. Emerge – a fatica, visto il top secret di una inchiesta in corso – l’esistenza di una rete di “controspionaggio” da parte degli appartenenti al clan.

Scrive il procuratore della Repubblica Giandomenico Lepore: “Un controspionaggio rispetto alle iniziative della magistratura e delle forze dell’ordine che consente agli affiliati di conoscere spesso in anticipo le attività cautelari o le iniziative più invasive, e di apprestare forme di tutela assai efficaci”. Parole gravi, anche perché alluderebbero a talpe interne proprio agli uffici giudiziari. Non solo. Al di là del successo delle indagini trapela l’amaro in bocca dei magistrati costretti “a fare i conti con risorse obsolete” a fronte di “sofisticati strumenti tecnologici a disposizione del clan con risorse economiche che tendono a vanificare alcuni sistemi tradizionali di indagine”. Un esempio: intercettazioni neutralizzate da scudi telematici, “ombrelli” che creano zone d’ombra e impediscono le intercettazioni. Perché la giustizia non ha soldi per servirsi di apparecchiature avanzate.
Dunque inchieste del pool di Federico Cafiero de Raho portate avanti con difficoltà, che pure hanno portato a due buoni risultati. La squadra mobile di Napoli ha arrestato due imprenditori edili al soldo dei Casalesi del super latitante Michele Zagaria. Nella stessa operazione il Gico della Guardia di Finanza ha sequestrato ai due indagati beni e società per sette milioni di euro. Nelle stesse ore la squadra mobile di Caserta ha arrestato l’erede di Nicola Schiavone, figlio di Francesco Sandokan, sul territorio di Aversa.

Associazione per delinquere di stampo mafiosi per i fratelli imprenditori edili Vincenzo e Luigi Abate. Quest’ultimo già arrestato nel marzo scorso. L’ordinanza venne annullata dal tribunale del Riesame – sottolinea la Procura – e oggi pende il ricorso dell’Antimafia in Cassazione. Fratelli protagonisti del versante finanziario della camorra casertana, beneficiari di una sorta di monopolio del calcestruzzo. Ne gestivano il mercato della produzione e del trasporto, perché il clan aveva imposto l’uso del loro materiale a tutte le ditte edili tra San Prisco e Casagiove. Non solo. Come emerge dalle indagini, i fratelli Abate riuscivano anche a inserirsi in appalti pubblici. Di fatto la loro collaborazione negli affari del clan favoriva il giro delle estorsioni, in quanto veniva agevolata la riscossione delle rate del racket. Vicinissimi alla primula rossa Michele Zagaria ne avrebbero anche favorito la latitanza. Quest’ultimo, impegnato in prima persona nella gestione delle estorsioni senza delegare l’organizzazione a nessuno, si sarebbe però servito dei fratelli Abate come intermediari di fiducia. Per i due imprenditori oltre all’arresto, il sequestro delle sette società di trasporto di merci su strada e di produzione di calcestruzzo per un valore di sette milioni di euro.
Era invece incensurato, ma viveva da latitante, l’uomo arrestato dalla squadra mobile di Caserta. Fedina penale immacolata per l’erede di Nicola Schiavone, Francesco Barbato, sparito nel nulla proprio in seguito all’arresto del figlio di Sandokan. Perché una volta in carcere il suo referente, Barbato – per l’Antimafia – era diventato automaticamente il numero uno del clan sul territorio di Aversa. Incensurato ma chiamato in causa molto spesso da almeno quattro collaboratori di giustizia. Fermato su decreto della Dda, è stato trovato nel suo rifugio di incensurato latitante in un villino a Castel Volturno.

Fonte: Repubblica

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